Da cent’anni la disfatta di Caporetto suscita le stesse domande: fu colpa di Cadorna, di Capello, di Badoglio? I soldati italiani si batterono bene o fuggirono vigliaccamente? Ma il vero problema è un altro: perché dopo due anni e mezzo di guerra l’esercito italiano si rivelò all'improvviso così fragile? L’Italia era ancora in parte un paese arretrato e contadino e i limiti dell’esercito erano quelli della nazione. La distanza sociale tra i soldati e gli ufficiali era enorme: si preferiva affidare il comando dei reparti a ragazzi borghesi di diciannove anni, piuttosto che promuovere i sergenti – contadini o operai – che avevano imparato il mestiere sul campo. Era un esercito in cui nessuno voleva prendersi delle responsabilità, e in cui si aveva paura dell’iniziativa individuale, tanto che la notte del 24 ottobre 1917, con i telefoni interrotti dal bombardamento nemico, molti comandanti di artiglieria non osarono aprire il fuoco senza ordini. In questo libro Alessandro Barbero ci offre una nuova ricostruzione della battaglia e il racconto appassionante di un fatto storico che ancora ci interroga sul nostro essere una nazione.
È il 28 ottobre 1921. Nella basilica di Aquileia, ci sono undici bare al centro della navata. Una donna le fronteggia: Maria Bergamas. Maria deve scegliere, tra gli undici feretri, quello che verrà tumulato a Roma, nel monumento al Milite Ignoto, simbolo di tutti i soldati italiani caduti durante la Grande Guerra. Maria passa davanti a ogni bara, e ognuna le racconta una storia. Sono vicende di giovani uomini, strappati alle loro famiglie, ai loro amori, ai loro lavori, finiti a morire in una guerra durissima e feroce. A cento anni dalla battaglia di Caporetto Matteo Bubola, uno dei più importanti scrittori di canzoni italiani dà voce ai soldati caduti nella Grande Guerra. Un'opera di ampio respiro letterario, storico e culturale, che racconta un momento cruciale della nostra storia, e nello stesso tempo, grazie alla prosa musicale e raffinata di Bubola, ci restituisce le voci, i sentimenti e le passioni di un'Italia oggi scomparsa.
Alfio Caruso racconta i giorni dell'angoscia per salvare i cannoni, bloccare i commandos del giovanissimo Rommel, la battaglia casa per casa di Udine, l'estrema resistenza sul Piave, la controversa sostituzione di Cadorna con Diaz, il salvataggio di Badoglio grazie agli incantesimi della massoneria. Fino a quando il costante logorio delle armate austro-tedesche consentì all'Italia di respingere, nell'estate del 1918, l'estrema offensiva e di avviare il contrattacco risolutore.
Come la sceneggiatura di un film, il libro narra l'avventura di alcune suore rimaste sole, con 300 donne pazze e un gruppo di orfanelle, sotto i bombardamenti nella linea del fronte, e profughe nei paesi invasi, dopo Caporetto. L'epica femminile delle donne in guerra attraverso la narrazione di una suora e delle sue consorelle nel Veneto e nel Friuli invaso.
"Caporetto costituisce tuttora un enigma: un crollo come quello dell'esercito italiano non si ritrova, nella prima guerra mondiale, presso nessun altro esercito, un crollo seguito, a brevissima distanza di tempo da una altrettanto fulminea ripresa." Così scriveva Mario Silvestri nel 1984, quando questo libro fu pubblicato per la prima volta. Sono ormai passati quasi trent'anni, ma il "mistero Caporetto" continua a essere oggetto di diatribe e di polemiche. Fu provocato dall'insipienza dell'alto comando italiano? Fu una sorta di ammutinamento delle truppe? Era la premessa di un tentativo rivoluzionario come quello sovietico che provocò il successo della Rivoluzione d'Ottobre? Era la prova manifesta dell'incapacità degli italiani di combattere?
Arrigo Petacco e Marco Ferrari raccontano in un saggio storico, che è anche un inedito reportage sui luoghi dello scontro, l'assurdità dell'atteggiamento italiano, gli errori degli alti comandi, la disumana vita di trincea, il massacro di migliaia di contadini analfabeti, le esecuzioni sommarie della nostra truppa e la disordinata e scomposta rotta. E ci spiegano che Caporetto non esiste, è solo un'invenzione italiana durata qualche decennio. La Caporetto finita nei libri di storia si chiama in realtà Kobarid e lì un esercito di collezionisti ancora oggi estrae dalle trincee e dalle caverne il materiale usato dai soldati sui due fronti. La cittadina slovena è infatti ricca di piccoli musei, collezioni private, le trincee sono state recuperate, i viaggi nella memoria di discendenti di soldati sono costanti. Riemergono così in tutta la loro drammaticità storie individuali e collettive di una guerra che ancora parla, e si presenta con le sue atrocità.
Dove si trova Caporetto? Pochi lo sanno. Il villaggio nella valle dell'Isonzo, oggi conosciuto con il nome sloveno di Kobarid, è un buco nero della geografia e della storia d'Italia. Il Piave e il Monte Grappa invece tutti sanno dove sono: sotto casa. Impressi per sempre nella toponomastica dei nostri paesi e città. Memorie censurate, nomi trasfigurati dal mito della Vittoria. Ma Caporetto, Piave, Monte Grappa sono (anche) luoghi reali. Sono il punto di partenza e il traguardo di un viaggio durato un anno, dall'ottobre 1917 al novembre 1918. Un anno di invasione, di stragi, di fame, durante il quale l'Italia ha rischiato di perdere se stessa.
Un libro da leggere camminando lungo i luoghi dove, alla fine di ottobre del 1917, si è combattuta la Dodicesima battaglia dell'Isonzo, più nota come battaglia di Caporetto. Un viaggio nella storia che passa attraverso Plezzo, Tolmino e ovviamente Caporetto, e gli altri piccoli borghi sloveni della Valle dell'Isonzo ricostruendo ciò che è avvenuto: le cause e i responsabili della sconfitta militare che ebbe pesanti conseguenze anche per i civili di Friuli e Veneto, costretti a lasciare le loro case. Un percorso in cui riecheggiano le voci di fanti, alpini, bersaglieri che a Caporetto non hanno alzato le mani davanti ad austro-ungarici e tedeschi, questi ultimi i veri artefici della disfatta dell'Esercito italiano.
Il primo conflitto mondiale fu una tragedia che costò la vita a oltre nove milioni di persone. La Grande guerra fu lo sbocco finale della corsa agli armamenti perseguita dalle principali potenze europee (in particolare dalla Germania), il frutto avvelenato dell'imperialismo. Ma davvero il Reich tedesco rappresentava una minaccia per l'ordine e la stabilità dell'Europa? Davvero si trattò di un conflitto inevitabile? A queste e altre domande risponde lo storico Niall Ferguson. Muovendosi in una interdisciplinare "terra di nessuno", confrontando dati economici e finanziari, rileggendo i testi dei "poeti di guerra", gli articoli dei principali quotidiani dell'epoca, come pure i libri di memorie o i documenti diplomatici, Ferguson fa piazza pulita di tanti miti e luoghi comuni e solleva questioni cruciali che intaccano alla radice la nostra percezione e conoscenza della prima guerra mondiale.
Il libro rilegge la carriera e l'operato di Cadorna collocandone la figura nel contesto della cultura militare europea e della storia italiana dell'epoca. Luigi Cadorna appare così come il rappresentante, non eccezionale, di una generazione di professionisti delle armi ossessionata dal passato inglorioso, dalle umilianti sconfitte e dai difetti di un paese che ritenevano debole e indisciplinato.
Paolo Del Debbio
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